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Febbraio 2007 - N°41

Focus - UE - Statistiche - Normativa - News

Normativa

Regimi pensionistici privati aziendali

REGNO UNITO: LA DISCREZIONALITÀ DA PARTE DEGLI STATI MEMBRI IN FASE DI ATTUAZIONE COME GARANZIA NEI CONFRONTI DELLE RIGIDITÀ DELLE DIRETTIVE COMUNITARIE


Corte di Giustizia Europea
http://curia.eu.int/


Con la sentenza del 25 gennaio scorso la Corte di Giustizia si è pronunciata sulla questione pregiudiziale C-278/05, relativa all'interpretazione dell'art. 8 della Direttiva del Consiglio 80/987/CEE, concernente il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in materia di tutela dei lavoratori subordinati in caso di insolvenza del datore di lavoro.

Tale domanda è stata sollecitata nell'ambito di una controversia tra la Signora Carol Marilyn Robins e 835 altri iscritti (ricorrenti) a due regimi pensionistici privati aziendali, da un lato, e il Secretary of State for Work and Pensions, competente per il Regno Unito per le questioni di lavoro e previdenziali, dall'altro, in merito alla riduzione dei diritti alle prestazioni di vecchiaia dei sopra citati ricorrenti a seguito dell'insolvenza del loro datore di lavoro.

I ricorrenti nel procedimento principale sono ex dipendenti della società ASW Limited, sottoposta a liquidazione giudiziale con ordinanza del 24 aprile 2003.
Gli stessi erano iscritti ai due regimi pensionistici aziendali finanziati da tale società, ovvero l'«ASW Pension Plan» e l’«ASW Sheerness Steel Group Pension Fund», organizzati secondo le sottoindicate caratteristiche:
- le prestazioni sono calcolate in funzione di un coefficiente di crescita dei diritti a pensione, alla retribuzione finale ed alla durata del servizio presso l'impresa di ciascun aderente;
- gli iscritti contribuiscono con una percentuale della propria retribuzione, mentre il datore di lavoro è tenuto a contribuire nella misura necessaria ad assicurare il pagamento delle prestazioni. Tali regimi sono definiti «regimi di equilibrio dei costi»;
- la società datore di lavoro che finanzia tali regimi è legittimata ad annunciare la sospensione delle contribuzioni e la messa in liquidazione degli stessi;
- dal momento dell'apertura della liquidazione dei regimi pensionistici trovano applicazione le disposizioni dell'art. 75 del Pensions Act 1995, che prevede un obbligo di legge della società nei confronti dei detti regimi. (1)

Tali regimi pensionistici sono oggi in stato di liquidazione. La gestione straordinaria prevede, in ogni caso, che gli amministratori utilizzino le risorse finanziarie per assicurare le prestazioni agli iscritti secondo un ordine di priorità stabilito dalla legislazione previdenziale in vigore: in prima battuta vengono assicurate le prestazioni agli iscritti che al momento della messa in liquidazione già percepivano prestazioni pensionistiche, poi, sempre che restino risorse, le prestazioni ai lavoratori che a quello stesso momento non ricevevano ancora alcuna pensione.

Secondo gli ultimi calcoli attuariali fatti, le risorse finanziarie dei regimi pensionistici non saranno sufficienti a soddisfare tutti i diritti degli iscritti e, di conseguenza, le prestazioni dei lavoratori non pensionati saranno ridotte.

Ritenendo che la normativa in vigore nel Regno Unito non assicurasse loro il livello di tutela prescritto dall’art.8 della Direttiva, i ricorrenti hanno avviato contro il Secretary of State for Work and Pensions un'azione di risarcimento danni.

Investita della controversia, la High Court of Justice ha deciso di sospendere il giudizio e di sottoporre alla Corte di Giustizia le seguenti questioni pregiudiziali:
«1) se l'art. 8 della direttiva debba essere interpretato nel senso che, in caso di insolvenza del datore di lavoro e di insufficienza delle risorse dei regimi pensionistici complementari, professionali o interprofessionali, i diritti alle prestazioni di vecchiaia maturati debbano essere assicurati dagli Stati membri medesimi e pagati integralmente;
2) in caso di soluzione negativa della questione precedente, se i requisiti di cui all'art. 8 siano adeguatamente attuati dalla legislazione in vigore nel Regno Unito;
3) nel caso in cui le disposizioni legislative del Regno Unito non siano conformi all'art.8, quale verifica debba intraprendere il giudice nazionale per stabilire se la violazione del diritto comunitario sia sufficientemente qualificata da far sorgere un obbligo di risarcimento e se debbano essere condotte altre verifiche e, se sì, quali».

La Corte di Giustizia ha chiarito che, per quanto riguarda la prima questione, contrariamente a quanto ritenevano le parti ricorrenti in merito ad un obbligo di risultato imposto dall'art.8 della Direttiva agli Stati membri, in caso di insolvenza del datore di lavoro e di insufficienza delle risorse dei regimi complementari di previdenza, professionali o interprofessionali, il finanziamento dei diritti maturati alle prestazioni di vecchiaia non deve essere obbligatoriamente assicurato dagli Stati membri medesimi, né essere integrale.

In merito alla seconda questione la Corte, preso atto che due dei ricorrenti nel procedimento in questione percepiranno dal 20% al 49% delle prestazioni di cui avevano in realtà diritto, ritiene che, in mancanza di un obbligo di garanzia integrale dei diritti a prestazione, bisogna ricercare il livello minimo di tutela prescritto dalla Direttiva. Infatti, né l'art. 8 né altre disposizioni contengono elementi che permettono di stabilire con precisione il livello minimo di tutela dei diritti a prestazione a titolo di regimi di previdenza complementari.

Nel 2004, secondo dati non contestati comunicati dal Regno Unito alla Commissione:
- circa 65.000 iscritti a regimi pensionistici hanno subito perdite superiori al 20% delle prestazioni attese;
- circa 35.000 di loro, vale a dire quasi il 54%, hanno subito perdite superiori al 50% delle dette prestazioni.

La Corte, pronunciandosi sulla seconda questione, ha affermato che il sistema vigente non assicura la tutela prescritta dalla direttiva e non realizza una. trasposizione corretta del suo art. 8.

Sulla terza questione, la Corte ha rilevato che, secondo una giurisprudenza costante, la responsabilità di uno Stato membro per i danni arrecati ai singoli da una violazione del diritto comunitario presuppone che:
- la norma giuridica violata sia preordinata a conferire diritti ai singoli,
- che si tratti di violazione sufficientemente caratterizzata e,
- che esista un nesso causale diretto tra la violazione dell'obbligo incombente allo Stato e il danno subito dai soggetti lesi.

Quanto alla condizione di una violazione sufficientemente caratterizzata del diritto comunitario, essa implica una violazione grave e manifesta da parte dello Stato membro dei limiti posti al suo potere discrezionale.

Al riguardo, fra gli elementi da prendere in considerazione, vanno sottolineati il grado di chiarezza e di precisione della norma violata e l'ampiezza del potere discrezionale che tale norma riserva alle autorità nazionali.

Nel caso di specie il giudice del rinvio dovrà tenere conto del grado di chiarezza, e di precisione dell'art. 8 della Direttiva riguardo al livello di tutela richiesto.

A tale proposito si deve sottolineare che né le parti del procedimento principale, né gli Stati membri che hanno presentato osservazioni, né la Commissione sono stati in grado di indicare con precisione il livello minimo di tutela richiesto dalla direttiva, per l'ipotesi in cui sia dichiarato che quest'ultima non impone una garanzia integrale.

La Corte rileva poi che sulla base della relazione definitiva della Commissione del 15 giugno 1995, COM(95), in merito al recepimento della direttiva [80/987] da parte degli Stati membri, la Commissione aveva concluso che: «Le varie misure adottate dal Regno Unito rispondono ai requisiti posti all'art. 8 della Direttiva».

____________________________
(1) Tale articolo rubricato «regolamenti sull’insufficienza degli attivi» dispone che, se un regime pensionistico aziendale a prestazioni definite è liquidato, o il datore di lavoro diventa insolvente, e, alla data rilevante, le sue risorse finanziarie non coprono gli impegni, l’importo costituito dalla differenza sarà considerato un debito del datore di lavoro verso gli amministratori del regime. Ciò permette a questi ultimi di avviare un’azione di recupero del debito.

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