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CRISI FINANZIARIA ED EFFETTI DI LUNGO PERIODO SULLE PENSIONI: UN PAPER DELLA WHARTON SCHOOL

Implications of the Financial Crisis for Long Run Retirement Security

Olivia S. Mitchell


Pension Research Council – Wharton School, University of Pennsylvania
http://www.pensionresearchcouncil.org/


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Gestire i rischi legati alla quiescenza è diventato molto difficile, soprattutto in un contesto come quello attuale, caratterizzato da fluttuazioni dei mercati finanziari, da un diffuso processo di globalizzazione e dal tendenziale invecchiamento della popolazione mondiale.

Il problema diventa particolarmente rilevante quando si rende necessario operare scelte vincolanti in merito al finanziamento della previdenza a lungo termine (anche su periodi di 50-100 anni), scelte che vedono come controparti istituzioni finanziarie, governi (quali gestori della previdenza pubblica) e imprenditori (in quanto finanziatori della previdenza o, in alcuni sistemi previdenziali, in quanto soggetti che assumono parte dei rischi finanziari e demografici dei piani pensionistici).

L’esperienza del passato dimostra, tuttavia, che sono davvero pochi gli strumenti (o le istituzioni) in grado di gestire efficacemente e con successo il rischio legato alla quiescenza, specialmente in riferimento a un arco temporale molto lungo.

Il paper di Olivia Mitchell – Executive Director del Pension Research Council, presso la nota “Wharton School” dell’Università di Pennsylvania – suddivide le fonti di “rischio previdenziale” in quattro categorie: rischio individuale, istituzionale, nazionale e globale.
Il rischio “individuale” è legato a diversi fattori: in primis, al “rischio di longevità”, cioè all’eventualità di sopravvivere oltre l’aspettativa di vita media e di esaurire, di conseguenza, le risorse finanziarie a disposizione. Un altro fattore di rischio “individuale” è costituito dagli eventuali errori compiuti nella scelta del prodotto previdenziale (a causa, ad esempio, di una scarsa alfabetizzazione finanziaria).

Il secondo profilo di rischio è relativo al contesto sociale e “istituzionale” nel quale operano i sistemi previdenziali: si tratta dell’eventualità che il sistema previdenziale vada in default; una possibilità neache molto lontana, visti i molti problemi che le strutture previdenziali stanno attraversando in molti paesi.
Vi sono poi i rischi definiti come “nazionali” (spesso di natura politica), come la nazionalizzazione dei fondi pensione (è accaduto in Argentina) o legati a una modifica radicale dei sistemi previdenziali.

I rischi “globali”, infine, sono legati a fenomeni quali gli shock finanziari e l’invecchiamento crescente e generalizzato.

In passato, i sistemi previdenziali si proteggevano dal rischio di inflazione o di recessione grazie al sistema a ripartizione (pay-as-you-go). Oggi non è più possibile ricorrere alla ripartizione a causa dell’aumento dell’età media e del consistente calo demografico. Di conseguenza, risulta più difficile attuare tecniche di “risk-pooling” o diversificare i rischi economici a livello globale.

Non è facile, conclude la Mitchell, indicare strumenti e soluzioni del passato adeguati a risolvere i nuovi problemi della previdenza e del Welfare State.
E’ necessaria - secondo l’autrice - una maggiore flessibilità e capacità di adattamento da parte di singoli, managers e decisori politici; inoltre, è fondamentale aumentare il grado di conoscenza in ambito finanziario e investire in modo “intelligente”, studiare prodotti assicurativi in grado di limitare il “rischio longevità” e i rischi di lungo periodo come l’inflazione.

Da ultimo, sottolinea l’autrice, è fondamentale aumentare la propria capacità di risparmio, come pure ritardare l’età della quiescenza: ciò contribuirà a fornire maggiori possibilità, nel lungo periodo, di mantenere una certa flessibilità di fronte ad eventuali shock finanziari.