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Il ritorno della pirateria e la copertura dei natanti


Sebbene nell’immaginario collettivo sia un fenomeno da libri di avventura, o al più un soggetto cinematografico, la pirateria continua ad essere praticata in alcune regioni del mondo e, anzi, conosce in taluni casi una nuova fase di sviluppo.
Secondo l’Organizzazione Internazionale della Navigazione nel 2004 sono stati denunciati 266 i casi di attacchi pirati riusciti o tentati a navi.

Alcune aree risultano particolarmente esposte a questo fenomeno. Il mar della Cina meridionale, lo stretto di Malacca, le coste dell’Irak e della Nigeria sono luoghi particolarmente indicati in quanto uniscono la vicinanza a economie in espansione, che determina un folto e ricco traffico marittimo, con la carenza di controlli da parte delle autorità.
Gli attacchi sono normalmente rivolti a navi mercantili con equipaggio puntualmente disarmato.

L’esclatation degli attacchi dei pirati ha spinto verso l’alto anche il costo assicurativo per i natanti mercantili, andando a perturbare stabilità di questo business da 12 miliardi di dollari (10 miliardi di euro) l’anno.

Secondo esperti di rischio la pirateria è una pratica che difficilmente può essere scissa dal terrorismo. Per questo un commissione dei Lloyd’s ha recentemente proposto di spostare il rischio legato alla pirateria dalla categoria dei danni materiali generici ai natanti a quello dei danni da atti terroristici.

Secondo altri, un diverso approccio al rischio di pirateria potrebbe tradursi in un generalizzato incremento dei premi medi, andando ad incidere positivamente su un business dalla redditività ridotta all’osso dall’accesa concorrenza che ha caratterizzato gli ultimi anni.

Per ulteriori informazioni segnaliamo l’articolo “For those in peril” edito in “The Economist” del 22 aprile 2006, pag. 73.