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Pensione di vecchiaia

ITALIA: L’INTEGRAZIONE AL MINIMO VITALE DELLA PENSIONE VALE SOLO PER CHI NON SUPERA UNA DETERMINATA SOGLIA DI REDDITO


Corte di Giustizia
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Con la sentenza del 21 luglio scorso la Corte di Giustizia europea si è pronunciata sulla questione pregiudiziale C-30/04 relativa all’interpretazione dell’art.46 del regolamento CEE n.1408/71, concernente l’applicazione dei regimi di sicurezza sociale ai lavoratori subordinati, ai lavoratori autonomi e ai loro familiari che si spostano all’interno della Comunità.

Tale questione è sorta nell’ambito di una controversia che ha visto contrapposti da un lato la signora Ursel Koschitzki e dall’altro l’INPS in merito alle modalità tecniche di calcolo della pensione di vecchiaia della predetta.

La signora Koschitzki, titolare di una pensione italiana di vecchiaia a decorrere dall’ottobre del 1996, disponeva di un reddito familiare superiore al limite indicato dalla legge italiana che prevede l’integrazione al minimo vitale della prestazione pensionistica quando l’importo di quest’ultima, derivante dal calcolo dei contributi versati, risulta essere inferiore al minimo.

In forza di quanto sopra richiamato, l’INPS ai fini della determinazione dell’importo teorico della pensione decideva di non prendere in considerazione l’integrazione al minimo, decisione quest’ultima contestata dalla signora Koschitzki, che, richiamandosi alla sentenza Stinco e Panfilo, riteneva invece che la questione potesse risolversi positivamente a suo favore.

Il Tribunale di Bolzano investito del caso osservava che la sentenza Stinco e Panfilo dava ragione alla signora quanto meno con riferimento alle modalità di calcolo anche se la stessa non precisava se l’integrazione al minimo, che costituisce la base di calcolo del pro-rata della pensione italiana, debba essere presa in considerazione anche quando il reddito familiare supera il tetto indicato dalla legge italiana.

Il Tribunale osservava che, secondo la tesi dell’INPS, il metodo di calcolo proposto dalla ricorrente produrrebbe un risultato iniquo sotto il profilo della parità di trattamento tra un pensionato italiano e un pensionato internazionale e che, ove la Corte di Giustizia lo ritenesse fondato, occorrerebbe aggiungere, alla fine del dispositivo della richiamata sentenza Stinco e Panfilo, la precisazione che l’integrazione è ammissibile se non sono superati i limiti di reddito.

Per questo motivo il Tribunale di Bolzano decideva di sospendere il giudizio e sottoponeva alla Corte il seguente quesito:

se alla luce dell’art.42 del Trattato CE che, in materia di sicurezza sociale, impone l’adozione delle misure idonee per l’instaurazione della libera circolazione dei lavoratori, l’art.46 del regolamento CEE n.1408/71 possa essere interpretato nel senso che la base di calcolo del pro-rata italiano debba essere costituita sempre dalla pensione virtuale integrata al minimo, anche se fossero superati i limiti di reddito sanciti dalla legge italiana per l’integrazione al trattamento minimo ovvero se l’art.46 debba essere interpretato nel senso che la base di calcolo del pro-rata italiano debba essere costituita dalla pensione virtuale pura, ossia l’importo non integrato, nei casi in cui il pensionato superi i limiti di reddito stabiliti dalla legislazione italiana per ottenere l’integrazione al trattamento minimo.

La Corte di Giustizia ha risposto al quesito proposto dando ragione all’INPS, affermando che l’Istituto non è obbligato a prendere in considerazione un’integrazione diretta a garantire una pensione minima prevista dalla normativa nazionale qualora, per effetto del superamento dei limiti di reddito fissati dalla normativa nazionale relativa all’integrazione medesima, un assicurato che abbia svolto la propria attività lavorativa interamente nello Stato membro interessato non possa avere diritto all’integrazione medesima.