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Libera circolazione dei lavoratori

BELGIO: LA NORMATIVA NAZIONALE DEVE FAVORIRE ANZICHÉ OSTACOLARE L’ESERCIZIO DI UN’ATTIVITÀ LAVORATIVA ALL’INTERNO DELLA COMUNITÀ


Corte di Giustizia
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Con la sentenza del sedici dicembre scorso la Corte di Giustizia si è pronunciata sulla questione pregiudiziale C-293/03, ex art. 234 del Trattato CE, sollevata dal Tribunale del lavoro Belga, in merito all’interpretazione degli artt. 2, 3, 17, 18, 39, 40, 42 e 283 nonché dell’art.7 del regolamento CEE n.1612/68 relativo alla libera circolazione dei lavoratori all’interno della Comunità.

Tale pronuncia prendeva origine dalla controversia esistente tra il signor Gregorio My e l’Ente nazionale belga per le pensioni, in relazione al rifiuto di quest’ultimo di tenere conto della carriera professionale dell’interessato, svolta presso un’istituzione delle Comunità europee, ai fini del riconoscimento del diritto ad una pensione di vecchiaia anticipata in base al regime belga.

Il signor My, cittadino italiano, ha versato per 19 anni i contributi pensionistici all’ente previdenziale come dipendente di diverse società belghe, prima di lavorare, a partire dal 1º giugno 1974, presso il Segretariato generale del Consiglio delle Comunità europee come dipendente, e ciò fino al 31 maggio 2001.

Nel marzo 1992, l’interessato chiese all’Ente nazionale belga per le pensioni, in applicazione della vigente normativa del 1991, il trasferimento dei diritti pensionistici dal regime belga verso quello delle Comunità europee il quale nell’ottobre del 1992, gli notificava i suoi diritti pensionistici trasferibili.

Il 20 ottobre 2000, il signor My chiese di beneficiare di un trattamento pensionistico anticipato di vecchiaia ai sensi della normativa belga. L’Ente belga, però, respinse tale richiesta in quanto l’interessato non totalizzava i 35 anni richiesti per accedere al pensionamento anticipato di vecchiaia, rifiutando di tenere conto dei 27 anni di servizio prestati dal signor My come dipendente presso le Comunità europee, in quanto il regime previsto dallo Statuto del personale delle Comunità europee non è contemplato dalla normativa belga.

Il Tribunale del lavoro di Bruxelles, investito del caso, nutrendo dubbi circa la compatibilità della normativa sopra richiamata, che non garantisce il diritto al trasferimento dei diritti pensionistici dal regime comunitario al regime nazionale, nonché, non permette di tenere conto dei periodi di servizio prestati presso un’istituzione comunitaria, con il principio della libera circolazione dei lavoratori e con il divieto di discriminazioni, nonché con i diritti garantiti dal Trattato CE ai cittadini dell’Unione, ha deciso di sospendere il giudizio e di investire della questione la Corte di Giustizia europea.

Il giudice europeo, pronunciandosi sulla controversia, ha affermato che la normativa belga ostacola l’esercizio di un’attività professionale nell’ambito di un’istituzione dell’Unione europea in quanto, accettando un’occupazione presso tale istituzione, un lavoratore che in precedenza sia stato iscritto ad un regime pensionistico nazionale rischia di perdere la possibilità di beneficiare di una prestazione di vecchiaia alla quale avrebbe diritto se non avesse accettato tale lavoro.

Per il Giudice europeo quindi tale previsione non può essere ammessa in base all’obbligo di leale cooperazione ed assistenza che incombe agli Stati membri nei confronti della Comunità e che trova la sua espressione nell’obbligo, previsto dall’art. 10 CE, di facilitare quest’ultima nell’adempimento dei propri compiti.